Lea Vergine, Capri (1905-1940, Frammenti postumi), il Saggiatore, pp. 304, €29,00 stampa €13,99 eBook
recensisce ELIO GRASSO
Lea Vergine va citata, e dunque: L’arte non è faccenda di persone perbene. Lo attesta, con le varianti del caso, questo esaustivo e coreografico volume dedicato all’isola di Capri al tempo in cui surrealisti, russi, dandy veri e falsi, esteti e facoltosi vi si aggiravano conquistandola. Dai primi anni del ’900 al secondo dopoguerra.
E viene subito in mente la silhouette di Alberto Savinio contrapposta a quella dell’Isola (per antonomasia, si direbbe); il fratello di De Chirico scriveva nel 1926 il suo personale libro intorno a Capri, mai pubblicato se non in stralci sulla Nazione di Firenze. Il saraceno gridava “terra!”, e un’allegria un po’ frivola si faceva strada negli animi, assieme al mito di sirene che lasciarono abbondantemente agli uomini questa terra, andandosene. Non senza istillar loro il demone della pazzia, delle “parole in libertà”, dei costumi riccamente avventurosi e quanto mai privati.
I Frammenti postumi, mirabile inventario di arti & avventure creato da Lea Vergine con Sergio Lambiase e Elisabetta Fermani, riposizionano alla luce scritti e peripezie di chi visse l’isola nel pieno del suo corredo – come Edwin Cerio, dio a suo modo dispotico ma variamente mecenate del luogo – e di chi vi sbarcò diventandone festoso prigioniero. E qui i nomi sono tanti. Da Jacques d’Adelswärd-Fersen a Norman Douglas, colmi di magnetico e nomade fascino omosex, al Marinetti (marito della favolosa Benedetta, grande dame del Futurismo cui dovremmo dedicarci senza indugio) fiero e mascalzone di cui Francesco Cangiullo narra, in uno scritto del 1922 e inserito nel libro, sguardi e corporeità fusa “nel bagno in quei colorifici subacquei di salsi cobalto, celesti e verde smeraldo stemperati nel mare…”
Ma l’occupazione futurista dell’isola, successiva a quella russa (uno per tutti, in una comunità, “Massimo” Gor’kij), ha in Sergio Lambiase ambìto descrittore, per altro non mancando in Capri suoi numerosi contributi di testi e interviste. Fra ufficiali convegni e arrivi fulminei su “graziosissimi vaporetti” (sempre Cangiullo), la presenza futurista s’incrocia e imbastardisce nell’alveo insulare strettamente sorvegliato dai Faraglioni sentinella. Dove l’abbondanza di ville e rovine romane, fra le due Marine e Anacapri, detta la sua legge topografica perennemente tenuta salda dal sindaco “entomologo”, anfitrione e defensor insulae Edwin Cerio. Fersen, Giuseppe Vannicola (il “velenoso” e avvelenato, come quasi tutti, d’assenzio), Ada Negri, Depero, Clavel, sono parte di una stravaganza riverberata ovunque nell’isola che con la sua abbagliante bellezza non ha mai ostacolato teatri e teatrini d’ogni genere.
Circoli omosessuali e arti varie vi hanno alloggiato affabili e potremmo dire insuperati modelli di genialità. Foto inserite nelle pagine del volume testimoniano passaggi e facce, perfino l’Aleramo (purtroppo senza Campana) appare, non sembrerebbe tanto maliarda se confrontata alla scrittrice Clotilde Marghieri, grande amica e corrispondente di Bernard Berenson, e alla vampiresca marchesa Casati Stampa, secondo Depero “confidenziale e intelligentissima”.
Fra mito, romanità, bagliori e fantasmi rievocati da Savinio e qui presentati nella loro luce mediterranea più forte e decisa, la folla di personaggi è labirintica, emerge da un’epoca scomparsa e irripetibile: ma ricca di documenti e testimonianze, di ville erette fra antico e moderno, come villa Lysis costruita in prima persona dal pagano Fersen, e come villa Malaparte ideata dallo scrittore e terminata nel 1940 (qui Godard girò Le Mépris, Il disprezzo, tratto dal romanzo di Moravia, dove la Bardot, nuda, impera e tritura gli sguardi).
E in uno scritto, al termine di questo libro, Lea Vergine liquida amaramente il nostro presente, carico di autori best sellers, quando di fronte al panorama qualcuno ha bisogno di sedersi e bere un bicchiere d’acqua. Oggi non si regge di fronte al concetto d’infinito. Gli attualissimi costumi “orripilanti” intaccano anche i miti, forse soprattutto, e gli starnazzanti che volete ne sappiano di Clark Gable e Ava Gardner attenti al coprirsi il giusto. Tenevano per sé l’aristocratica spudoratezza, altro che slip femminili e maschili frutto d’incolpevoli stylist. O forse colpevoli di sedurre sgangherate portatrici e portatori di natiche. I grandi eccentrici non sono più qui, e altri non appaiono sul mare intorno, tutt’al più possiamo assistere al saluto di rapide ombre nella libreria degli editori La Conchiglia, tempio di raffinatezze per pochi. Però Lea Vergine, dandysticamente urticante, nell’ultima pagina esclama: pas de angoisse.
Ed è tutto.