Chiariamo subito che Piergiorgio Bellocchio è il fratello di Marco, il regista de I pugni in tasca e Buongiorno notte. Chiariamo anche che il sottotitolo di questa raccolta di scritti è leggermente fuorviante: si parla di “riviste”, ma tutto ciò che troverete in questo volumetto ruota attorno a una rivista, e cioè i Quaderni piacentini, che dal 1962 al 1984 fu un punto di riferimento del dibattito culturale nel nostro paese (fanno eccezione le tre sezioni dell’Appendice dedicate a Discussioni, Ragionamenti e Ombre rosse). Il titolo dei Quaderni non deve ingannare: anche se Bellocchio e Grazia Cherchi erano effettivamente originari di Piacenza, la rivista ebbe ben presto una risonanza nazionale, e si avvalse di collaboratori sparsi in tutta la penisola (nonché all’estero). Se uno scorre le pagine dell’attenta ricostruzione di Muraca, spuntano nomi illustri, a partire da Franco Fortini, che fu l’originario punto di riferimento di Bellocchio, Cherchi e compagni; sulle pagine dei Quaderni pubblicarono personaggi che in seguito hanno giocato, nel bene e nel male, un ruolo importante nella vita intellettuale italiana, da Goffredo Fofi ad Alberto Asor Rosa. Piacenza fu il luogo di nascita della rivista, ma essa si rivolgeva alla nazione intera.
Muraca ricostruisce la parabola dei Quaderni, che nasce all’inizio del decennio più vivace e contraddittorio della storia italiana recente (oddio, forse non tanto recente, a pensarci bene), gli anni Sessanta, con l’intenzione di condurre “una vera e propria campagna di controinformazione su temi e avvenimenti legati all’attualità e trascurati dalla Rai-Tv, dalla stampa di regime e dalla stessa sinistra ufficiale, in cui si prendevano di mira l’establishment, l’industria culturale, scrittori di successo, miti, valori e pregiudizi dominanti…” Un programma di tutto rispetto, che potrebbe essere ripreso di peso anche oggi, e se portato avanti onestamente e con coerenza potrebbe fare del bene, vista l’aria che tira. I Quaderni piacentini partono come rivista culturale a tutto tondo, attenta alla letteratura, al cinema, alla sociologia, alla politica, voce di una sinistra eterodossa, e cioè distante sia dalla palude democristiana che dall’orbita culturale del PCI. Non a caso i loro fondatori consideravano quale padre nobile Fortini, che s’era allontanato dal Partito Comunista. (Vien da dire: ben altra cosa dall’attuale PD che quali padri nobili vanta Veltroni e Prodi, ma lasciamo stare.)
La storia raccontata da Muraca corre parallela a quella nazionale. Con gli anni Settanta la rivista si concentra sempre più sulla politica, e diviene praticamente monotematica; nel 1980, proprio all’inizio del decennio veramente oscuro della nostra storia recente, i Quaderni chiudono, poi hanno una breve ripresa fino al 1984, anno della definitiva chiusura. Molto semplicemente, in un’Italia travolta dal cosiddetto Riflusso e sommersa da una marea di soldi facili, edonismo da quattro soldi, televisione monnezza (mi si scusi il termine capitolino), e governata da Craxi Andreotti Forlani (gente che sento ogni tanto rimpiangere, e questo dà l’idea dello stato di confusione mentale profonda in cui siamo precipitati), la Rivista si trovava a non saper più bene a chi rivolgersi. Si avvertiva che una stagione era chiusa, e che i Quaderni erano indissolubilmente legati a quei tempi, per cui proseguire non aveva senso.
Muraca non a caso ha inserito in conclusione del suo libro alcuni scritti dedicati alla produzione letteraria di Bellocchio e Cherchi, che furono nella seconda metà degli anni Ottanta anche scrittori: di saggistica il primo, di narrativa la seconda. E a leggere le pagine che Muraca dedica a Oggetti smarriti e Al di sotto della mischia di Bellocchio, nonché a Basta poco per sentirsi soli e Fatiche d’amore perdute della Cherchi, viene voglia di leggerli – cosa non facile, ahinoi, dato che questi titoli sono fuori stampa (il romanzo della Cherchi lo trovate su Amazon, usato, a soli 50 euro…). I due personaggi che hanno più contribuito a far vivere i Quaderni, con un lavoro redazionale come quello della Cherchi che resta spesso invisibile ma è assolutamente necessario, sentivano evidentemente, morta la loro rivista, di doverne comunque salvare se non altro lo spirito. Bellocchio lo fa con raccolte di materiali scelti tratti dai Quaderni; Cherchi mettendo in scena, in Fatiche d’amor perdute, una riunione dei principali collaboratori anni dopo la fine dell’impresa, facendo capire come si fosse stabilito con le varie firme un rapporto umano, di affetti, che andava oltre quello professionale tra redattore e collaboratori.
Nonostante la sua brevità, tanto ancora ci sarebbe da dire della raccolta di scritti di Muraca, che non si esaurisce in un “come eravamo” ma si legge come un invito ad approfondire, ad andare a riprendere e a riscoprire tutti gli scritti citati puntigliosamente e con precisione, con solido impianto bibliografico. Come lo stesso autore spiega, alle spalle di questa pubblicazione c’è il tentativo (purtroppo fallito) di trovare un editore per una monografia ben più ampia e articolata sui Quaderni piacentini; si sa, l’Italia è un paese che non ama ricordare, specie se il ricordo è nitido, ben documentato, e non si presta a strumentalizzazioni.
Del resto, Oggetti smarriti di Bellocchio consisteva in una raccolta di scritti usciti in una rubrica omonima che apparve brevemente tra 1992 e 1993 su L’Unità; rubrica che a sua volta derivava da un articolo pubblicato nel 1983 sui resuscitati (ma per poco) Quaderni. Bellocchio intendeva segnalare, per contrapporli alla marea di novità editoriali di dubbio valore, volumi fuori stampa, dimenticati, rimossi, che però valeva assolutamente la pena di leggere. Una terapia per contrastare la costante tendenza nazionale all’amnesia culturale (amnesia di comodo, aggiungerei). Piergiorgio Bellocchio e i suoi amici, mi sembra, è il modo in cui Muraca tiene fede all’intuizione del fondatore (e finanziatore) dei Quaderni piacentini.
(Un’intuizione, ci terrei a sottolineare, e parlando da redattore di PULP Libri, che abbiamo intenzione di tenere bene a mente.)