Impero fasullo

Tom Drury, Pacifico, tr. Gianni Pannofino, NN editore, pp. 248, € 18,00 stampa

recensisce SARA TOSETTO

Tiptoe through our shiny city
With our diamond slippers on […]
Turn the light out, say goodnight
No thinking for a little while
Let’s not try to figure out everything at once
It’s hard to keep track of you falling through the sky
We’re half awake in a fake empire

Fake Empire, The National

Chi l’ha detto che il sequel è sempre inferiore all’originale? Nel caso di Pacifico, terzo volume della trilogia della Grouse County, si potrebbe addirittura dire che il meglio arriva alla fine.

Del resto, chi ha letto almeno uno dei due volumi precedenti ha avuto modo di affezionarsi ai personaggi, conosce il loro passato, i drammi piccoli e grandi che ne hanno plasmato le esistenze; ora Tom Drury si (e ci) prepara a congedarci da loro, allargando lo sguardo oltre il territorio immaginario del Midwest dove ha ambientato le vicende della trilogia. È un libro di partenze reali e immaginarie, Pacifico, e proprio per questo pervaso da una sottile vena elegiaca, per quanto sempre ruvida e rassicurante come un buon vecchio pezzo indie rock.

Micah Darling, il figlio quattordicenne del poco di buono Tiny e dell’attrice Joan Gowan (due personaggi che, se questo libro fosse un film, vincerebbero l’Oscar come migliori attori non protagonisti), accetta di separarsi dal padre e dall’amatissima sorella Lyris per seguire la madre a Los Angeles; lì lo attendono una nuova famiglia, il primo amore, e soprattutto la California, estremo confine della Frontiera USA e luogo simbolo del sogno americano. Tom Drury riesce nel miracolo di farci vedere la lenta luce azzurra della West Coast, con le sue enormi città vuote durante il giorno, il deserto dietro l’angolo, le colline battute dagli elicotteri che proiettano a terra “raggi di argento puro, come se procedesse[ro] sui trampoli”, le eccentriche scuole d’élite con i loro assurdi divieti e, naturalmente, il Pacifico. È lì, dove finisce l’America, che finiscono tutte le storie: non solo le aspirazioni frustrate di attricette di Hollywood come Charlotte e Joan (e dei loro surreali spasimanti: come lo sceneggiatore Gray e la coppia quasi beckettiana di Doc e Dalton) ma idealmente anche i sogni e le vite dei personaggi rimasti nel Midwest. Grazie alla magia della scrittura di Drury, il dettaglio concreto si fa continuamente metafora e viceversa (un trucco che riesce solo parzialmente nei primi due volumi della trilogia e pienamente solo in quest’ultimo); il gioco di corrispondenze è infinito, ed è uno dei piaceri che offre la lettura di Pacifico. Così il fiume che osservano Charlotte e Micah si rivela il fiume del tempo e della giovinezza, mentre l’alluvione che poco dopo sommerge Los Angeles portando tutto con sé nel grande oceano diventa il corrispettivo della discarica dove Tiny getta pezzi di vite e ricordi della Grouse County. Le vecchie generazioni se ne vanno, le nuove lottano per la propria identità, e quelle di mezzo si ritrovano a fare i conti con entrambe: è il caso di Louise, che rischia di rimanere intrappolata nel passato anche a causa della maternità dolorosamente mancata – un immobilismo simboleggiato anche dal suo negozio dell’usato.

D’altro canto, c’è chi ha un ruolo sorprendente ancora da giocare, come quel poco di buono di Tiny Darling, che paradossalmente dona al figlio in partenza per la California un insegnamento più rivoluzionario di quanto sembri: “Non farti mai la carta di credito”. Tiny funge anche da ponte tra Micah e un’altra figura chiave di questa storia, una fantastica new entry nella Grouse Country, ovvero Sandra Zulma, novella Don Chisciotte che crede di vivere in un mondo dove i miti celtici e le saghe irlandesi sono reali. Le avventure della ragazza ci spingono a chiederci, per l’ennesima volta, se e come le storie (e forse la letteratura) ci possano salvare. Indimenticabile la scena in cui Sandra minaccia con una vera spada l’ex amico d’infanzia Jack, divenuto falsario di manufatti celtici, dicendogli: “Di’ che le storie sono vere”. Sandra funge anche da contrappunto alla figura di Micah, cui la lega una sottile rete di corrispondenze che potete divertirvi a rintracciare nel testo. La ribellione dei due ragazzi è simile: sempre in bilico tra tragedia e farsa, entrambi rifiutano la finzione e l’ipocrisia del fake empire americano, la tirannia del pensiero unico, del conformismo e del denaro (dopotutto, la California è stata importante anche per la controcultura degli anni 50-60); le conseguenze dei loro gesti, però, saranno molto diverse. Perché? A voi scoprirlo nello splendido, luminoso finale.

(Di Tom Drury PULP Libri ha anche recensito La fine dei vandalismi.)

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