Non sempre le collaborazioni artistiche danno i risultati attesi, per questo ho letto con estrema curiosità e coltivando molte aspettative questo L’estate di Piera, frutto del lavoro a quattro mani di due talenti assoluti nei loro rispettivi campi.
Piera degli Esposti, celebrata a teatro e al cinema, una delle attrici più note e acclamate d’Italia – probabilmente la migliore ancora in attività –, non è nuova a incursioni nella letteratura. Personaggio per certi versi scomodo, non ha mai nascosto la sua vita vissuta sempre al massimo, a volte ai limiti dell’eccesso per i conformisti, ha scritto, nel 1980 insieme a Dacia Maraini, la cui amicizia risale agli anni del femminismo e all’esperienza della Casa delle Donne – luogo dove si sono create tante occasioni culturali e sociali rivolte soprattutto al genere femminile –, la sua autobiografia. La storia di Piera (Rizzoli, 1997) è stata poi portata sul grande schermo da Marco Ferreri, uno dei registi più trasgressivi ed estremi del panorama cinematografico italiano.
Giampaolo Simi si è affermato ormai da anni come uno dei maggiori scrittori di noir italiani, mantenendo una qualità che pochi altri possono vantare. Stile asciutto e privo di orpelli, le sue storie indagano sui mali del nostro Paese e sul degrado etico della società senza inseguire flebili attenuanti – che probabilmente non esistono –, con una lucidità dovuta alla sua profonda cultura. Recentemente è stato tra gli sceneggiatori di Nero a metà, una fiction RAI con Claudio Amendola tra i protagonisti.
Conosciutisi tramite amicizie comuni, nel momento in cui hanno scoperto di avere molti interessi in comune, dai gialli al poliziesco, da Alfred Hitchcock a Georges Simenon, da Shakespeare al cinema, hanno deciso di mettere su carta un’idea in cui il teatro, il thriller, il noir e il poliziesco fossero i protagonisti. E il risultato, come ci si poteva aspettare dalle premesse, è un romanzo di ampio respiro e profonda analisi, dove la psicologia di chi vive nella storia viene sviscerata pagina dopo pagina, dove le posture dei personaggi, la posizione delle loro mani in certe circostanze e l’uso della lingua sono le chiavi per giungere a scoprire il mistero. Dove il teatro di Shakespeare, in questo caso il Riccardo III che la Piera del libro vuole portare sul palco in chiave femminile, ossessione che da tempo insegue anche Piera Degli Esposti, rimane ancora oggi attuale: smaschera un potere meschino e brutale disposto a tutto pur di mantenersi. E lo sguardo sulla società contemporanea e la natura umana risulta impietoso.
In una notte calda e afosa di Roma, Piera Drago, attrice di teatro, vede un uomo gettare un grande sacco nero nel pozzo del cortile del condominio signorile dove vive. Quando arriva la notizia della scomparsa di una ragazza ricollega i fatti ma nessuno sembra darle credito: il buio rendeva i contorni della scena poco definiti. Solo un commissario altoatesino trasferitosi a Roma da poco, una città di cui detesta l’approssimazione e la superficialità, la confusione e l’eccesso di burocrazia dei suoi colleghi e degli abitanti in genere, sembra dare ascolto alle parole della donna. Il colpevole, che si conosce fin dalle prime pagine, è Alex Riccomanno, il portaborse di un politico, che ingaggia un duello psicologico con l’attrice. I colpi di scena si susseguono senza soluzione di continuità ma è il potere il vero obbiettivo del romanzo, il protagonista principale. Un potere abietto, che continua a rigenerarsi nel marcio che crea perché tutti hanno qualcosa da perdere o da nascondere, qualcosa che hanno guadagnato criminosamente. E il finale, come nella tradizione della migliore narrativa, è il compendio di una storia che lascia l’amaro in bocca. Nonostante il colpevole sarà incarcerato tutti gli altri, che continueranno a macchiarsi di colpe ancor più gravi, rimarranno impuniti.