Paragrafi d’autore oggi ospita Luca Ricci, scrittore che conta diverse pubblicazioni per le edizioni La Nave. Luca Ricci ha il carisma dei pisani ed è accattivante quanto un romano, città in cui attualmente vive. La sua penna non poteva che essere perciò frizzante e intelligente, e il modo in cui ci parla di sentimenti è poetico ed elegante. Per la rubrica ha scelto un francese, Guy de Maupassant.
“L’avenue era deserta, ora. Sulla massicciata appena rischiarata dai lumi a gas che parevano morenti, una fila di carrette cariche di legumi andava al mercato. Avanzavano lentamente, cariche di carote, di navoni e di cavoli. Davanti a ciascuna luce del marciapiede le carote s’illuminavano in rosso, i navoni s’illuminavano in bianco, i cavoli s’illuminavano in verde; e passavano una dietro l’altra, quelle carrette rosse d’un rosso fuoco, bianche d’un bianco argento, verdi d’un verde smeraldo.”
“La notte” di Guy de Maupassant (1887)
“La notte” è uno dei più suggestivi tra i contes fantastiques di Guy de Maupassant. Eppure dopo la prima lettura la sensazione è quella di un mezzo fiasco. La narrazione stenta a decollare, e più che altro sembra un abbozzo di racconto virato al nero. C’è un tenue elemento fantastico- Parigi che a poco a poco si svuota di tutti i parigini-, risolto razionalmente con una sostituzione: la notte fisica viene fagocitata dalla notte psichica dell’io narrante, come su di una passerella in cui sfilino capi nero su nero. Nulla più. Che cosa c’è dunque di entusiasmante? Non certo il finale onirico, da cui il sottotitolo, né la trattazione del personaggio, un semplice flâneur come se n’erano già visti, e di migliori, nelle pagine di Baudelaire. Quindi? Maupassant viene salvato dalle carrette del mercato.
In questo brano c’è tutto Maupassant, o almeno quello che conta. Una sensuale e soprattutto sensoriale esplosione di colori, e la percezione netta del movimento: si ha proprio l’impressione di vederli sfilare, quei carretti di legumi. Accendersi in ragione di una notte che diviene incredibilmente buia, inverosimile (con buona pace di Zola e delle soirées de Médan). Non c’è un briciolo di pensiero nel Maupassant che conta, ma solo una stupefacente vigoria artistica. Per secoli i critici hanno rinfacciato a Maupassant la mancanza di cultura, del riferimento dotto in grado di richiamare alla memoria altri libri. Già Edmond de Goncourt nel suo Journal annotava con stizza impotente: “Maupassant non ha mai messo nei suoi racconti una frase che possa essere citata”. La Francia aveva un grande autore ma ancora non sapeva scorgerne la paradossale qualità della scrittura. Alberto Savinio, in un libro bello e misterioso intitolato Maupassant e l’altro (Adelphi), lo scrisse senza mezzi termini: “Arrivare: scopo supremo dei racconti di Maupassant”. Incalzato dal deterioramento inesorabile dei nervi, di cui era perfettamente consapevole, Maupassant non cincischia, non allunga il brodo, non si perde in giri di parole: unico esempio in cui la fretta è un elemento decisivo della composizione. Maupassant tira via, ed è questo che offre alla sua scrittura uno stile. A ogni riga sembra ribadire un’evidenza che è lo spauracchio di molti scrittori: si è capaci o non si è capaci di scrivere.
Luca Ricci è nato a Pisa nel 1974 e vive a Roma. Autore di fortunate raccolte di racconti come L’amore e altre forme d’odio (Einaudi 2006, nuova edizione aggiornata con La nave di Teseo 2020) e I difetti fondamentali (Rizzoli 2017), negli ultimi anni si è dedicato alla quadrilogia delle stagioni, un ciclo di romanzi di cui sono usciti Gli autunnali (La nave di Teseo, 2018) e Gli estivi (La nave di Teseo 2020). Insegna scrittura creativa e tiene la posta del cuore del mensile IL.