100 anni dalla morte di Lenin: Lenin e Bogdanov a Capri

A Capri nel 1908 Lenin e Bogdanov si trovano costretti a rielaborare il marxismo, date le lezioni apprese dalla Rivoluzione del 1905 e dalle sue conseguenze. Più che dispute per il protagonismo o litigi individuali, si scontrano due concezioni distinte della costruzione del socialismo.

Duecentocinquanta euro. Questa è la tariffa giornaliera per soggiornare a Villa Krupp, motivo per cui ho potuto vederla solo da lontano quando ho visitato Capri, nel 2013 e nel 2021. Il balcone di questa guesthouse offre una delle viste più spettacolari dell’isola conosciuta fin dall’antichità come “Perla del Mediterraneo”.

Capri non aspettava le star di Hollywood e i magnati americani per essere glamour. Per secoli imperatori, senatori e poeti latini furono ospiti abituali: venivano a godere del clima mite, a volte come rifugio contemplativo, a volte come covo erotico.

L’azzurro del mare contrasta con il grigio scuro delle rocce e il verde intenso di cipressi, mirti e lentischi. La luce del tramonto esalta i paesaggi di Capri, che ovunque trasmettono una pace sovrana e apollinea. In primavera l’isola fiorisce di giallo e lilla, raggiungendo una bellezza impossibile.

Nell’estate del 1908 Lenin visitò Capri per la prima volta. Come è noto, la repressione della rivoluzione del 1905 da parte del regime zarista portò alla diaspora dei rivoluzionari russi. Lenin trascorse un decennio in esilio, alternandosi tra i paesi europei. Un altro emigrante sovversivo fu Maxim Gorki, all’epoca già acclamato in tutto il mondo. Dopo un soggiorno negli Stati Uniti, dove Mark Twain gli fece da cicerone lo scrittore russo scelse di rifugiarsi a Capri. Quando arrivò al porto di Marina Grande, nel 1906, con la moglie e una coppia di domestici, li accolse una folla di ammiratori e curiosi. Immediatamente Gorki divenne un altro illustre residente dell’isola.

La coppia prese in affitto Villa Blaesus, che sarebbe poi diventata la pensione Villa Krupp (in riferimento al palazzo vicino). Non male: accanto ai Giardini di Augusto, la casa si affaccia sui Faraglioni, la spettacolare formazione rocciosa che emerge dal mare, ispirazione di innumerevoli poesie sull’isola.

Lì, tra il 1906 e il 1909, Gorki scrisse diversi racconti, articoli e terminò il romanzo La Madre, tra passeggiate, bagni in mare e splendide colazioni all’italiana, gustate in terrazza.

Con i suoi vini vulcanici, i frutti di mare abbondanti e le arance dolcissime, l’Italia meridionale era frequentata dall’aristocrazia nordeuropea, uno spazio tradizionale per il rilassamento mentale e la clandestinità romantica. Non mancava sulla scena l’intellighenzia delle regioni fredde. Basti ricordare come, più tardi, negli anni ‘20, vissero e vagabondarono lì nei loro anni formativi, spesso con le rispettive amanti, Walter Benjamin, T. Adorno, A. Sohn-Rethel, Karl Kraus e B. Brecht (vedi Adorno a Napoli. Un capitolo sconosciuto della filosofia europea di Martin Mittelmeier, Feltrinelli, 2019).

Ogni anno, da aprile in poi, Capri diventava un frequentato palcoscenico delle vacanze dell’alta borghesia, della nobiltà di ogni livello e dei campioni delle arti, delle lettere e delle scienze. Nel primo decennio del XX secolo l’isola era già costellata di boutique, atelier, caffè e yacht ormeggiati, che emanavano il lussuoso svago della fine della Belle Époque. C’erano molti luoghi memorabili. I clienti del bar Zum Kater Hiddigeigei, ad esempio, potevano bere birre fresche bavaresi, arrivate da Monaco, discutendo di Nietzsche, Freud o Avenarius.

La villa in cui visse Gorki si trovava accanto all’immensa tenuta della famiglia Krupp. I Krupp fecero costruire una magione in stile neoclassico, dove ospitarono l’alta casta militare prussiana per soirées sofisticate e serate bacchiche. Un ambiente favorevole alla chiusura di contratti milionari su armi e munizioni. Lo yacht di famiglia, uno dei più grandi dell’epoca, aveva base a Capri.

I Krupp possedevano il tentacolare impero dell’acciaio dell’Europa continentale. Dominavano non solo il mercato dell’acciaio e della metallurgia, ma anche l’industria bellica. Sotto la presidenza di Friedrich Alfred Krupp (1854-1902), divennero leader nella fabbricazione di cannoni, gli stessi che furono utilizzati per schiacciare la comunità di Canudos (Brasile) nel 1897. Con Alfred Krupp, l’azienda iniziò a investire nella produzione di corazzate, U-Boote e motori diesel.

Nel 1902, quattro anni prima dell’arrivo degli emigrati russi, Alfred si uccise a Capri. Informatori infiltrati nella villa avevano fatto trapelare alla stampa napoletana le preferenze sessuali del patriarca, in particolare riguardo a quanto accaduto con gli ospiti adolescenti di sesso maschile.

Seguirono rumorosi resoconti che circolarono rapidamente negli ambienti della società del Vecchio Mondo. Nella settimana prima che si togliesse la vita, si può avvertire la forte pressione esercitata dai tabloid, attraverso uno dei titoli sul caso: “Capri-Sodoma”.

Ad Alfred successe la figlia Bertha Krupp, che darà il nome al più grande cannone mai utilizzato in guerra, la “Grande Bertha”, con un calibro di 42 cm e una massa di 43 tonnellate.

Lenin arrivò a Capri nell’estate del 1908. Ormai la casa presa in affitto da Gorkij era diventata un nucleo di famigerati esuli, tra cui Alexander Bogdanov, Anatoly Lunacharsky e Vladimir Bazàrov, solo per restare tra i più famosi. Di quell’incontro è sopravvissuta una sequenza di foto che mostra il gruppo di Gorkij sul balcone, mentre osserva una partita a scacchi tra Lenin e Bogdanov.

Una delle foto conteneva sette personaggi, ma durante il periodo stalinista venne mutilata e coloro che venivano ostracizzati dalla macchina repressiva dell’URSS furono successivamente cancellati. Cercando online, il lettore troverà alcune versioni della suddetta foto, le cui età e autenticità possono essere valutate dal numero di persone nell’inquadratura.

Bogdanov non è stato rimosso dalla foto perché sarebbe stato ridicolo lasciare Lenin giocare contro un avversario fantasma. Nonostante ciò, il riconoscimento della paternità di Bogdanov per la laboriosa traduzione in russo dei tre volumi di Das Kapital scomparve misteriosamente dalle edizioni sovietiche del libro di Marx a partire dal 1928.

Non si sa chi abbia vinto la partita immortalata nella foto. Non esiste nessun foglio di trascrizione di nessuna delle mosse delle partite di Lenin. Sul sito di Chessgames c’è una partita tra Lenin e Gorki, che sarebbe stata vinta da quest’ultimo. Ma non può che essere un falso, poiché nel 1908 la variante giocata della Difesa Alekhine non era conosciuta e nemmeno Gorki sapeva come si giocasse. Bogdanov era considerato un forte giocatore di scacchi, oltre che medico, filosofo, attivista e scrittore di fantascienza. Un poliedrico.

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La prima scissione del partito tra bolscevichi e menscevichi avvenne nel 1903. La seconda scissione fu interna al partito bolscevico e avvenne nel 1909, tra leninisti e bogdanovisti. Quando si recò a Capri nel giugno 1908, Lenin aveva già inviato all’editore la prima versione dei manoscritti di Materialismo ed empiriocriticismo (pubblicati nel 1909). Con una retorica infuocata, il libro di oltre 400 pagine giustifica la rottura con la frazione bogdanovista dovuta alla deviazione dalla linea materialista. L’eresia dei bogdanovisti sarebbe stata il frutto avvelenato dell’opera di Ernst Mach, che a quel tempo era professore all’Università di Praga.

In quello che sarebbe diventato un cliché della caccia ai devianti dell’ortodossia, Lenin accusò i seguaci russi di Mach (detti anche “Makisti”), guidati da Alexandre Bogdanov, di arrendersi a un soggettivismo borghese e idealista, al limite del solipsismo, in diretta contraddizione con linea fondamentale del marxismo, che era materialista. Una capitolazione teorica e pratica.

Nel marxismo, secondo questa lettura di Lenin, in definitiva, è il mondo delle cose a determinare il mondo delle idee, a differenza dell’idealismo dove è la coscienza a determinare la realtà.

Qual è la differenza filosofica nella teoria?

In realtà il problema era stato mal posto da Lenin nel suo lavoro frettoloso. Rivendicando una concezione unidimensionale della materia, la materia come densità inerte del substrato, Lenin ha finito per impegolarsi in un idealismo dualistico, che fa della materia qualcosa di trascendente e assoluto. Il cocktail sa meno di Marx che dell’Engels dell’Anti-Düring. Questo schema comporta la separazione tra il mondo oggettivo della realtà, esterno, indipendente, e il regno soggettivo, interno.

Questa divisione emergerà poi all’interno della critica dell’economia politica, con la separazione fra struttura e sovrastruttura, o tra forze/rapporti produttivi e quadro ideologico/culturale. In ogni caso, dando il primato determinante al primo termine.

Nell’opera di Bogdanov, molto più elaborata e rielaborata nel corso della sua opera, è necessario superare la dicotomia tra oggettivo e soggettivo, così come tra struttura e sovrastruttura. Tutta questa discussione su ciò che è venuto prima: materia o spirito, si presta più ad argomenti di autorità che a fondamenti filosofici.

Materialismo (volgare) e idealismo inciampano sulla stessa pietra, cioè sull’ipostatizzazione di una realtà ultima, sia essa materia e spazio, oppure coscienza e soggetto. Il bolscevico Bogdanov, in sintonia con gli sviluppi filosofici della fine del secolo, con E. Mach, Bergson o Husserl,  propone quindi il superamento del dualismo realtà/ideologia mediante un monismo che parta dai fenomeni come si presentano.

Per Bogdanov la natura esiste esternamente, certo che esiste, ma è caos. È il caos che resiste ai tentativi di organizzazione, che offre plasticità e che richiede tecniche e scienze alla base dell’efficienza e dell’integrazione. Il lavoro è il modo in cui gli esseri umani affrontano il caos fornendo loro forme organizzative economiche; proprio come la cultura fa con le forme ideologiche, il potere, con le politiche. E così via, in molteplici ambiti.

La relazione soggetto/oggetto (spirito/materia) diventa dinamica, e funziona attraverso soglie adattive, in cui l’organismo ricerca l’equilibrio energetico e informativo con il ‘milieu’. Piuttosto che di sostanze assolute, si tratta di relazioni e di gioco dai confini variabili.

Invece di un dualismo trascendente, come nel testo leninista del 1909, che rischia di culminare in una dialettica compresa nell’istanza del potere, Bogdanov dispiega uno schema monista e allo stesso tempo pluralistico (monismo = pluralismo). Pluralista perché si lascia guidare dalla progressiva organizzazione delle molteplici dimensioni del campo dell’esperienza – individuale, collettiva o sociale, di fronte alla resistenza e alla plasticità della realtà (caos).

Non è difficile trovare nella teoria dell’organizzazione di Bogdanov un antecedente per l’analisi dei sistemi del XX secolo o nella Cibernetica di N. Wiener, con le sue gradazioni di energia ed entropia, come notato da James D. White (nella monografia su Bogdanov, Red Hamlet: The Life and Ideas of Alexander Bogdanov, 2018).

Proiettando il proprio pensiero nello spazio della fantascienza, nei suoi due libri ambientati su Marte, Bogdanov descrive il dramma di una civiltà alle prese con il caos sistemico derivante dall’esaurimento delle risorse. Alla fine, i marziani socialisti corrono sull’orlo dell’estinzione. Tra i tanti argomenti, Bogdanov parla della deforestazione e della matrice energetica. Recentemente, in Molecular Red (2016), McKenzie Wark ha scritto che l’attualità di Bogdanov consiste nell’aver formulato il problema dell’Antropocene, cioè dell’era geologica odierna, in cui gli esseri umani sono diventati una forza geofisica planetaria e la Terra è diventata una propria vasta forza sociale, destabilizzante le condizioni limite della vita.

Ok, ma qual è la differenza tra Lenin e Bogdanov nel 1908, per la pratica del loro tempo?

Entrambi i rivoluzionari si trovano costretti a rielaborare il marxismo, date le lezioni apprese dalla Rivoluzione del 1905 e dalle sue conseguenze. Più che dispute per il protagonismo o litigi individuali, si scontrano due concezioni distinte della costruzione del socialismo.

Dal 1905 in poi, nei suoi scritti, Lenin strinse le redini della lotta politica. Lenin comprende che l’autonomia del politico assume un primato vitale per l’azione bolscevica e che solo un’avanguardia impegnata a prendere il potere statale è in grado di dare consistenza alla rivoluzione. Una volta avviata la rivoluzione, solo questa avanguardia professionale e militarizzata ne garantirà la sopravvivenza, di fronte all’assedio che sicuramente arriverà. Lenin, il giacobino.

Bogdanov, d’altro canto, comprende che solo un processo globale e molteplice, che potremmo chiamare civilizzazione o Kultur, può condurre la rivoluzione nella direzione dell’utopia. Ciò non significa l’assenza di rilevanza della lotta politica, ma non le conferisce la centralità attribuita da Lenin. Al contrario, chez Bogdanov, senza rivoluzione sociale e culturale (potremmo aggiungere: ed ecologica), non c’è rivoluzione politica e viceversa.

Il problema è veramente di organizzazione, ma questa dipende da principi immanenti di formazione delle coscienze e da ideologie basate sull’ambiente concreto della vita comune. La scienza e gli scienziati cambiano il mondo. E non viene dall’esterno, attraverso un partito dirigente delle masse. Il partito è responsabile della pedagogia, ma non deve occupare permanentemente il centro del potere. Bogdanov, il paideuta.

È certo che la scissione tra Lenin e Bogdanov fu vinta dal primo, quando vediamo come il partito bolscevico assimilò la linea leninista e soppresse la seconda. Sebbene filosoficamente limitato, Materialismo ed empiriocriticismo divenne il collante del marxismo-leninismo, cioè di quella che sarebbe diventata l’ideologia ufficiale dello Stato, un libro di testo scolastico obbligatorio. La versatile opera di Bodganov finì per essere eliminata dal canone socialista e divenne un culto, con forse una dozzina di esperti in tutto il mondo. (WU MING)

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Non ho titoli né studi per emettere un verdetto su quanto il (per nulla) realismo ingenuo di Lenin abbia influenzato il futuro del partito e dell’Unione Sovietica, dopo la rivoluzione del 1917. Quanto il tono autoritario e settario della sua “filosofia”, fondato su verità veementi e assolute, sia confluito nel DiaMat stalinista. Dalla già citata diffamazione antimakista russa, in Materialismo ed empiriocriticismo, si può dedurre che Lenin si limitò a tollerare eterodossie e modernismi, purché non mettessero a rischio l’unità politica della sua personale leadership. La vulgata materialista trasformata in canone contribuì certamente all’incoronazione del realismo socialista come estetica statale obbligatoria, a partire dal 1934, in cui Stalin minacciosamente includeva Gorki nella posizione di mecenate. L’empiriomonismo di Bogdanov fornirà input al Proletkult (“Cultura operaia”), alle avanguardie russe e al cinema di un Dziga Vertov, almeno fino a quando non saranno tutti adeguatamente riformulati nell’ortodossia.

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Nel 1908 Lenin non si recò a Capri per cercare un accordo con i bogdanovisti, come desiderava Gorkij, che si offrì come mediatore. In quel momento la disputa era insanabile, gli ingranaggi dell’ala leninista erano orientati verso l’ennesima defenestrazione. Lo stesso Lenin si oppose all’idea di trascorrere qualche giorno d’estate a Capri per questo motivo, come riportato nelle memorie della moglie Krupskaya, scritte nel 1933. A sua volta Gorky racconta che, arrivato nella sua villa cinematografica, Lenin fu irremovibile nell’informare che non sarebbe entrato in controversie politiche o filosofiche.

Ma se non era per cercare la riconciliazione, qual era il vero motivo del viaggio del leader bolscevico?

In Scacco allo zar (2012), Gennaro Sangiuliano presenta due ipotesi alternative per la visita di Lenin nella perla del Mediterraneo. Una è plausibile. L’altra è pura speculazione.

L’ipotesi plausibile è che, indipendentemente da ciò che sarebbe accaduto, Lenin volesse raccogliere informazioni su coloro che presto sarebbero diventati nemici. Voleva ascoltarli, voleva misurare personalmente il danno che avrebbe arrechato la scissione del prossimo anno. Nel frattempo Lenin si arrendeva al mondo. Trascorreva le giornate a Capri con l’amante, in barca a vela lungo la costa, giocando a scacchi e gustando vini campani.

Nel libro, Sangiuliano spiega come il ritratto di un Lenin totalmente concentrato sulla rivoluzione, arcimilitante a tempo pieno zoon politikon, sia un mito fabbricato dalle agiografie post-rivoluzionarie. Non abbandonò mai i suoi modi aristocratici: sciava, faceva alpinismo, pescava, cacciava e frequentava opere liriche e ottimi ristoranti. Dopotutto, la stragrande maggioranza dei rivoluzionari moderni proveniva da strati elitari e intellettualizzati della società. I suoi ammiratori più idolatri diranno sempre che, in fondo, Lenin praticava gli sport all’aria aperta esclusivamente per prepararsi alla rivoluzione, emulando il personaggio Rakhmetov, del romanzo di Nikolai Chernyshevski.

La seconda ipotesi relativa al viaggio a Capri del 1908, secondo il cap. VI di Scacco allo zar, è che lì Lenin cercava già il dialogo con lo Stato prussiano, per allacciare buoni rapporti con i bolscevichi che sarebbero poi sfociati in Brest-Litovski (e per traversie, decenni dopo, in Molotov–Ribbentrop). L’isola di Capri era l’epicentro di spie di vari enti del potere imperiale, interessate al grande movimento di autorità e ricchi. Forse per coincidenza, la stessa estate in cui Lenin era a casa di Gorki, nientemeno che il maresciallo Paul von Hindenburg (allora colonnello generale) alloggiava nella villa accanto, a Villa Krupp.

Nella narrazione che ricorda un romanzo di spionaggio, un oscuro rivoluzionario bielorusso di nome Helphand-Parvus avrebbe legato le estremità di questo incontro segreto tra Lenin e i tedeschi.

Queste sono congetture dal grande contenuto speculativo dell’autore. Ma non del tutto implausibile, in questo intricato puzzle di manovre tattiche e filosofiche tra le due rivoluzioni russe, del 1905 e del 1917.